martedì 17 febbraio 2015

The Innocence of Father Brown (Il candore di Padre Brown, 1911) - G.K. Chesterton

The Innocence of Father Brown, tradotto in Italia da Morganti nel volume Il candore di Padre Brown, raccoglie le prime avventure del prete-detective ideato da Chesterton.
Frederic Dannay, una delle metà di Ellery Queen, definì questa raccolta «a miracle book», e con buona ragione, perché questo volume contiene alcuni tra i più geniali racconti del mistero mai pubblicati, e possiede un livello qualitativo pressoché insuperabile.
Alcuni racconti appaiono di straordinaria profondità, molti affondano le proprie radici nella teologia, ma tutti hanno un denominatore comune, quell'elemento che ogni opera di «fiction» dovrebbe possedere: il genio, il virtuosismo, la sorpresa. Queste brevi opere sono trionfi di immaginazione, di plotting e di abilità tecnica, piene di indizi sottili e astuti, scritte magistralmente in un inglese complesso, ricchissimo dal punto di vista lessicale, molto difficile da tradurre - diffidate di ogni traduzione che non sia quella di Morganti, perché le pagine rischiano di apparire pesanti se non adeguatamente interpretate.

The Blue Cross (La croce di zaffiri)

Questo primo racconto è già l'emblema del paradosso chestertoniano, in cui l'autore accumula una serie di avvenimenti del tutto assurdi e sconclusionati, che però alla fine troveranno una logica spiegazione.
Il protagonista non è Padre Brown, bensì il capo della polizia francese Valentin, il più grande investigatore del mondo - ma non è una macchina pensante, dice Chesterton, perché le macchine non pensano, riferendosi al professor Van Dusen di Futrelle. Valentin è in Inghilterra sulle tracce del più temibile ladro esistente, Flambeau, una sorta di miscuglio tra Fantômas, Lupin e Diabolik.
Magnifico sense of humor, concisione narrativa e descrizione dei personaggi: meraviglioso.

The Secret Garden (Il giardino chiuso)

Roland Lacourbe, non di certo un fan sfegatato di Chesterton, ha definito questo racconto uno dei più straordinari della storia della narrativa poliziesca. Difficile non emozionarsi di fronte a un tale capolavoro, indiscutibilmente il più geniale Chesterton di sempre, che fonde mirabilmente un'atmosfera da incubo a un intreccio di rara vertigine tecnica. Il cadavere di un uomo senza testa viene trovato all'interno del giardino di casa Valentin, durante un ricevimento. Il giardino è circondato da altissime mura, e non esistono vie d'uscita. 
L'apoteosi del delitto impossibile, che vanta, a mio modo di vedere, una delle più sublimi soluzioni finali mai ideate per una camera chiusa. Ambiguo, complesso, machiavellico e meccanicamente perfetto: forse la più grande short-story contenente una camera chiusa di sempre.
Incalcolabile l'influenza che ebbe su John Dickson Carr e Agatha Christie.

The Queer Feet (Gli strani passi)

«Why on heart should a man run in order to walk? Or again, why should he walk in order to run?»
Un capolavoro di satira sociale e politica, ambientato in un sontuoso hotel-ristorante di Londra, in cui Flambeau orchestra ad alcuni bizzarri personaggi un furto sbalorditivo.
Basato su un paradosso formale, contiene un enigma sopraffino e una spiegazione che lascia a bocca aperta: forse per questo è il più famoso e antologizzato racconto di Chesterton.

The Flying Stars (Le stelle volanti)

Ambientato in una deliziosa villa della campagna inglese durante le festività natalizie, questo racconto celebra il surrealismo chestertoniano attraverso una galleria di personaggi sfaccettati ed eccentrici, che si trovano manovrati dalla diabolica mente di Flambeau, qui alla sua ultima avventura da criminale (Padre Brown lo redimerà e ne diventerà il miglior amico).
«A delightful and heart-warming comedy» lo ha ben definito Nick Fuller, che mostra tutta la gioia di vivere dello scrittore inglese. Dopo un prologo inusuale, il racconto si muove con meravigliosa sinuosità ritmica sino al gran finale. Il trucco ideato da Flambeau è, al solito, geniale, ma anche Padre Brown, che regge col padrone di casa un divertente dialogo sul socialismo, appare in forma smagliante.

The Invisible Man (L'uomo invisibile)

Chi è l'Uomo Invisibile? Chi è colui che può girare per la città, entrare in una casa, lasciare delle impronte, uccidere e uscire sotto gli occhi di decine di testimoni senza essere visto?
L'apice della logica del surreale, un racconto sperimentale e giustamente celebre, tra rimandi a Wells  e situazioni ai limiti del fantastico, che contiene la soluzione più audace e metafisica uscita dalla penna di Chesterton.
Fondamentale per tutti coloro che sono venuti dopo di lui, ma difficile da superare. Atmosfera torbida e inquietante, personaggi complessi, un messaggio sulla vita e sull'uomo di portata universale. Un gioiello della letteratura del Novecento.

The Wrong Shape (La forma sbagliata)

In una suggestiva e grottesca abitazione a forma di T, un poeta Bohémien dedito all'oppio e appassionato di Oriente, viene assassinato nella propria stanza ermeticamente chiusa dall'interno con un maligno pugnale di foggia orientale.
Camera chiusa superba, di chiara ispirazione zangwilliana, contenuta nel più inquietante e diabolico racconto dell'intero volume, intriso di morte, paganesimo, magia nera e occulto.
Pagine dal forte contenuto religioso, scosse da un clima ambiguo e vividissimo. 
Dal punto di vista dell'evocazione di un'atmosfera è insuperabile, e in generale uno dei miei racconti preferiti di Chesterton.

The Honour of Israel Gow (L'onore di Israel Gow)

Padre Brown si reca in Scozia, dove l'amico Flambeau, ora divenuto detective privato, e un funzionario di polizia, stanno indagando sulla morte di un Conte di uno sperduto castello, un uomo bizzarro, che nessuno, tranne il suo tuttofare Israel ha mai visto uscire di casa.
Basandosi sul ritrovamento di alcuni oggetto che non hanno alcun legame apparente tra loro, un Padre Brown insolitamente infastidito troverà la soluzione del mistero.
L'atmosfera creata da Chesterton è, al solito, magnifica, e alcune situazioni - il disseppellimento di un cadavere - sono da antologia, ma la soluzione spezza eccessivamente il pathos che si era venuto a creare. Spiegazione brillante, certo, ma ha il demerito di indebolire il maligno clima della storia.

The Sins of Prince Saradine (I peccati del principe Saradine)

Le selvagge paludi del Norfolk accolgono questa insolita avventura di Padre Brown e Flambeau, in visita a un principe di origini italiane dal passato fosco e burrascoso. L'iniziale aria malinconica e trasognante cede il passo all'inquietudine, fino a che un duello non ribalterà completamente l'assunto iniziale.
Tra bizzarrie, malvagità e vendette, Chesterton non si dimentica di inserire indizi perfetti e subdoli, per un risultato affascinante e a sprazzi sconvolgente.

The Hammer of God (Il martello di Dio)

Dopo The Secret Garden forse il più geniale, e giustamente famoso, delitto impossibile di Chesterton, con una soluzione di una semplicità disarmante, che sarà di insegnamento per Carr, Michael Innes e tanti altri.
Tutto si basa ancora una volta su un paradosso: perché un martello di piccolissime dimensioni viene utilizzato per uccidere un uomo? E come è possibile che questo piccolissimo martello abbia sfondato il cranio di una persona che oltretutto indossava un copricapo di ferro?
Denso di significati simbolici, ribalta un precetto religioso (Dio si serve delle cose più piccole per ottenere le cose più grandi) ed è semplicemente spettacolare.
Nei mesi scorsi, in Giappone, è avvenuta una situazione pressoché identica: per fortuna la sfortunata vittima non è morta.

The Eye of Apollo (L'occhio di Apollo)

Una ragazza cade nella tromba dell'ascensore. Nessuno può averla uccisa, ma non è un incidente, né un suicidio.
Ambientato in uno dei più moderni palazzi di Londra, contiene un altro delitto impossibile superbamente ideato, una letterale applicazione della massima «pride comes before a fall». 
Come in molti Golden Age mysteries - The Dain Curse (1929) di Hammett, Nine Times Nine (1940) di Bocuher, The Other Side (1940) di Talbot - c'è un bizzarro esponente di una setta religiosa tra i personaggi principali, in questo caso un seguace del dio Sole.
Un altro capolavoro, a cui deve molto Roland Knox per il suo bellissimo Solved by Inspection (1925).

The Sign of the Broken Sword (L'insegna della sciabola spezzata)

«Where is the best place to hide a tree?»
Definito da Nick Fuller «Chesterton's masterpiece», è un racconto di estrema profondità psicologica e umana, impossibile da ricondurre, per le sue tante sfaccettature, ad un semplice racconto poliziesco. Perché un uomo saggissimo agisce in modo sconsiderato mentre un uomo estremamente buono agisce da malvagio?
Strutturalmente inconsueto, complesso in apparenza, ma in fondo lineare e semplicissimo: l'indizio alla base, presente sin dal titolo, è puro genio. Amatissimo da Borges.

The Three Tools of Death (I tre strumenti di morte)

Forse il racconto più debole della raccolta, che sarà però di profonda ispirazione per Carr nel suo Four False Weapons (1937), è definito da Nick Fuller «a neat parody of the detective story». La storia è come sempre intrigante, e anche la soluzione (che ribalta la prospettiva iniziale), è convincente, ma nel complesso appare troppo confusionario e dispersivo per gli standard dell'autore.  Un autore unico e inimitabile.




venerdì 6 febbraio 2015

The French Powder Mystery (Sorpresa a mezzogiorno, 1930) - Ellery Queen

Il primo periodo queeniano, individuabile tra il 1929, anno d'esordio, e il 1936 circa, è oggi il meno considerato nell'intera produzione firmata dai due cugini americani Frederic Dannay e Manfred B. Lee. Questo è dovuto principalmente al poco valore conferito dalla critica contemporanea al whodunit puro, parola che normalmente vuol significare poco, ma che per il primo Ellery Queen è piuttosto calzante. Per chi scrive, invece, siamo alle vette della storia del romanzo poliziesco.
La prima produzione con protagonista il giovane detective newyorkese, che affianca nelle indagini il padre Richard Queen, ispettore di polizia, è di schietta tradizione vandiniana: ambienti altolocati, personaggi appartenenti all'alta borghesia, criminali metodici e cervellotici, trame artificiosamente ricreate come in laboratorio, complesse e bizzarre ma strutturalmente impeccabili. Dannay e Lee seguono inizialmente la scia di Van Dine come tanti altri loro contemporanei (Anthony Abbott, Stuart Palmer, Rex Stout, Charles D. King etc) per svariati motivi, tra cui quelli economici: in un momento drammatico della storia americana, la Grande Depressione, scrivere polizieschi di successo era un modo eccellente per superare la crisi, e nessuno vendeva quanto il grande S.S. Van Dine.
Così, dopo un esordio convincente ma acerbo (The Roman Hat Mystery, 1929), Queen pubblica un romanzo che è una delle espressioni più pure e perfette del "vandinismo", The French Powder Mystery

Nei grandi magazzini French, a New York, ogni martedì mattina a mezzogiorno si svolge una particolare esibizione nella vetrina al piano terra, in cui una modella illustra le caratteristiche dei mobili disegnati dall'artista francese Paul Lavery. Che sorpresa, dunque, quando un giorno, all'interno del letto pieghevole viene ritrovato il cadavere della signora French, uccisa da due colpi di pistola al cuore.
Titolo ambiguo, ambientazione metropolitana inusuale, predilezione per le scene in interni e sfida al lettore (con tutti gli indizi forniti per risolvere l'enigma) sono le caratteristiche dei romanzi del primo periodo queeniano, che con questo testo prende forma nitida e precisa. Gli autori costruiscono un meccanismo estremamente elaborato ma non eccessivamente tortuoso o difficile da seguire; i grandi magazzini, con i suoi lavoratori e il frenetico via-vai, rappresentano, come ha scritto Francis Nevins, quasi un personaggio unico, funzionale alla trama ma ottimamente armonizzato. La caratterizzazione dei personaggi, infatti, è praticamente assente, le descrizioni sono ridotte ai minimi termini, ma questo non deve assolutamente far pensare ad una non-letterarietà. 
Benché in alcuni casi Queen rischi di incappare in quella che Boncompagni ha definito "ipertrofia stilistica" (dovuta, spesso, al non eccellente rapporto che intercorso tra i due cugini), la prosa di Dannay e Lee è sempre di alta qualità: pur mancando una tensione narrativa che non sia esclusivamente di carattere intellettuale, il testo scorre via con estrema piacevolezza, perché i due cugini, pur giovani e acerbi, padroneggiano la lingua e la materia con sapienza. Con The French Powder Mystery, Queen da una parte smorza gli eccessi vandiniani (gli artifici stilistici, la magniloquenza della prosa, le citazioni colte del detective), dall'altra conserva e conduce al massimo livello i principi tecnico-strutturali del creatore di Philo Vance, ovvero il metodo investigativo (per eliminazione) e la sottigliezza dei ragionamenti.
Anche qui, come in molti Van Dine prima maniera, si susseguono quasi solamente interrogatori, domande, risposte, perquisizioni e ritrovamenti, ma la struttura narrativa è ai limiti della perfezione: Ellery si muove attraverso deduzioni sempre più sorprendenti ma nello stesso tempo sempre più logiche, stringenti e inappuntabili. 
Le ultime 35-40 pagine, in cui il giovane riprende le fila della trama ripercorrendo tutti i bizzarri eventi, conferendogli infine un senso preciso, sono controversi: se Anthony Boucher, meravigliato dalla perfezione tecnica della spiegazione e dalla brillantezza dei ragionamenti, sostiene che siano tra le pagine più ammirevoli della storia della narrativa poliziesca, Mike Grost ne evidenzia invece la sostanziale inutilità, perché se si esclude il nome dell'assassino, esse non aggiungono alcuna nuova deduzione a quelle già esposte nei paragrafi precedenti. La verità sta probabilmente nel mezzo: la fitta spiegazione di Ellery è troppo lunga, ma al tempo stesso è una illuminante manifestazione di logica deduttiva. 
Interessanti sono anche i riferimenti all'Art Déco: la mobilia allestita da Paul Lavery nei magazzini French è definita "modernist" dagli autori, ma  non sembrano esserci dubbi a riguardo. Come ha scritto Mike Grost, Queen descrive accuratamente il modo in cui questo tipo di corrente artistica, sia dal punto di vista estetico che sociologico, è percepita dai contemporanei, dimostrando ancora di più quanto anche questi primi romanzi, nonostante l'intellettualismo imperante, rappresentino una testimonianza fondamentale per comprendere gli Stati Uniti degli anni Trenta.
Un grande romanzo, scritto da coloro che rappresentano in tutto e per tutto "la vera detective story americana".

lunedì 2 febbraio 2015

Pietr-le-Letton (Pietr il Lettone, 1931) - Georges Simenon

Georges Simenon, belga, è stato uno dei grandi scrittori del Novecento. La sua fortuna è dovuta anche e soprattutto ai romanzi con protagonista il Commissario Maigret, tra i più amati personaggi della letteratura del secolo scorso.
Questi romanzi, va subito detto, non hanno quasi nulla in comune con il mystery dell'epoca, soprattutto quello francese, in cui operano geniali orditori di enigmi come Nöel Vindry, Pierre Very o Gaston Boca. Simenon, soprattutto nel primo periodo, non ha alcun interesse nel costruire trame interessanti, e scrive quasi esclusivamente per motivi economici. Lo si nota perfettamente dall'incredibile mole di testi pubblicati nel giro di pochissimo tempo (10 romanzi nel solo 1931), e dalla loro brevità.
In breve, le opere di Simenon con Maigret, pur solcando il filone della detective story, sono lontanissime dal mystery: appaiono invece piccoli tasselli di una grandiosa Commedia Umana, fondamentali per comprendere l'evoluzione di Parigi e della terra di Francia dai primi anni Trenta sino agli anni Settanta.
Il ciclo iniziale, che si snoda dal 1931 al 1934, è più complesso a livello di intrecci, ma nello stesso tempo più confusionario, acerbo e meno poetico. Il secondo ciclo, invece, che corrisponde al periodo 1940-1972, vede romanzi più lirici, approfonditi psicologicamente, nostalgici e malinconici, spesso ambientati nei soli dintorni parigini.
Questo Pietr-le-Letton, scritto nell'inverno del 1929 e pubblicato da Fayard nel 1931, è il testo d'esordio con protagonista Maigret, ed è piuttosto emblematico, perché mette in luce le problematiche del romanzo poliziesco del periodo.
In questo romanzo Simenon rimane a metà tra il romanzo d'avventura e hard-boiled, con Maigret che si muove in modo caotico tra i meandri della città, cercando di risolvere un caso tortuoso e complicato nell'accezione più negativa del termine. I caratteri del commissario appaiono ancora sin troppo stereotipati: un uomo fatto di granito, implacabile e dallo sguardo di ghiaccio, sin troppo indifferente nei confronti del mondo, sul quale getta uno sguardo disincantato e a tratti cinico.
Dopo un prologo vivido e affascinante, avvolto da un'atmosfera di grande inquietudine, tra appostamenti durissimi sotto la pioggia e squallidi bar, il romanzo inizia piano piano a perdere d'interesse, penalizzato dalla ricerca di un'azione che non pare essere nelle corde dell'autore. Lentamente si dispiega il tema del doppio, Maigret viene ferito, ma alla fine il mistero (se di mistero si può parlare) sarà risolto.
Simenon non è ancora Simenon, e il tentativo di avvicinarsi alle atmosfere e ai moduli dell'hard-boiled è deleterio: disordinato, lentissimo e per larghi tratti di una pesantezza oggi insostenibile.