giovedì 30 aprile 2015

Corollario a Le traduzioni italiane di Agatha Christie - La morte nel villaggio

Qualche tempo fa, la traduttrice Diana Fonticoli è intervenuta qui sul blog, nel post dedicato alle traduzioni italiane di Agatha Christie, affermando l'ipotesi che la sua versione de La morte nel villaggio, pubblicata in un Omnibus ad inizio anni Novanta, sia stata perduta dalla Mondadori, e che per tale motivo, nelle successive ristampe del testo, era sempre stata scelta la traduzione di Giuseppina Taddei, risalente agli anni Trenta.
Oggi, in libreria, ho notato la presenza de La morte nel villaggio nella recentissima edizione Mondadori, quella con le copertine simili alle inglesi. Ebbene, anche qui è stata scelta la versione della Taddei. E siccome tutti gli altri libri della collana hanno come traduzione quella più recente, è chiaro che Diana Fonticoli aveva ragione.
È un peccato.

domenica 26 aprile 2015

The Mystery of 31 New Inn (Una carrozza nella notte, 1905) - Richard Austin Freeman

In questi ultimi mesi, in Italia, sta avvenendo una sorta di grande riscoperta di Richard Austin Freeman, uno dei maggiori scrittori di romanzi polizieschi dell'epoca edoardiana  e tra coloro che, ancora oggi, si leggono con più gusto.
Le sue opere sono state ripubblicate ultimamente da Castelvecchi, in due ottimi volumi, e Mondadori, che ha riscoperto anche un eccellente inedito del 1938.
Nella storia del mystery, Freeman è una figura chiave: inventore della "forma  romanzo" secondo Narcejac, è idealmente una sorta di raccordo tra il poliziesco di fine Ottocento e la Golden Age, tra Conan Doyle e Agatha Christie.
Il racconto di cui parliamo oggi, pubblicato in Italia da Polillo nel 2007, è il primo scritto da Freeman nel 1905 con protagonista il dottor Throndyke, l'investigatore scientifico per eccellenza. L'opera rimase però inedita fino al 1911, quando fu pubblicata sulla rivista Adventure; quell’anno Freeman lo ampliò fino a farlo diventare un romanzo, dal titolo The Mystery of 31, New Inn (1912). Ufficialmente, come ben si conosce, la prima apparizione dell'investigatore risale invece al 1907, con il romanzo The Red Thumb Mark (L'impronta scarlatta 1907).
La versione pubblicata Polillo è quella originale, che, sebbene acerba, mostra le tante abilità che hanno reso grande questo autore: trame intriganti costruite con cura, stile piacevole ma elegante, ritmo spedito e indizi astutamente disseminati nel testo.
La storia, dal punto di vista tematico e contenutistico, si attesta all'interno di una tradizione schiettamente sherlockiana: il dottor Jervis, il narratore, ha il tipico ruolo del dottor Watson, mentre Throndyke è un novello Holmes; la storia, inoltre, ha inizialmente toni da racconto di Conan Doyle. Il dottor Jervis, ormai arrivato a fine giornata lavorativa, viene contattato da tale J. Morgan per visitare il fratello, molto malato, nella propria abitazione. La richiesta è bizzarra perché, secondo le parole dell'uomo, il fratello ha espressamente richiesto di essere visitato da un medico non della zona. Perché tutta questa segretezza? E come mai il cocchiere che accompagna Jervis e il padrone di casa J. Morgan sembrano la stessa persona? 
Nonostante i rimandi a certi classici con protagonista Holmes siano evidenti (vedi L’avventura del pollice dell’ingegnere), la bravura di Freeman permette al racconto di prendere vie nuove e inesplorate. L'autore decide, e questa sarà una sua peculiarità, di intrecciare due storie apparentemente separate, che troveranno alla fine un imprevedibile congiungimento.
Il Dottor Throndyke non è ancora al massimo della forma (non ha ancora la valigetta e i suoi attrezzi) ma mostra già le sue vastissime conoscenze in campo legale, medico, chimico, ma anche letterario e storico, possiede un eccellente potere deduttivo ed è capace di spiegare avvenimenti apparentemente assurdi con grande coerenza e logica. 
Il grande passo in avanti compiuto da Freeman rispetto a Doyle riguarda senza dubbio la costruzione dell'intreccio e l'utilizzo degli indizi. Ce ne sono tanti e alcuni di essi non mancheranno di sorprendere il lettore.

Il racconto si legge in poco più di un'ora, e diverte moltissimo.

venerdì 10 aprile 2015

The John Dickson Carr Companion (James E. Keirans, 2015)

Ci sono gli scrittori di mystery, e poi c'è John Dickson Carr.
James E. Keirans, appassionato studioso, ha appena pubblicato grazie alla casa editrice Ramble House una delle più importanti opere sul Maestro americano. Questo massiccio volume di oltre 400 pagine va a formare una indissolubile coppia con la celebre biografia di Carr, scritta da Douglas Greene nel 1995, John Dickson Carr: The Man who Explained Miracles.
Questo testo di Keirans è essenzialmente da consultazione ed è strutturato alfabeticamente dalla A di Aaronson (bizzarro personaggio che appare nel romanzo And so to Murder) alla Z di Zia Bey (un'americana sui quaranta che muore nel capolavoro Nine-and Death Makes Ten, appena ripubblicato da Mondadori).
L'opera include quasi tutti i personaggi, maggiori, minori e reali (Hitler, Picasso, Monet etc) apparsi o citati nelle opere poliziesche di Carr, con descrizione e caratteristiche; troverete, alfabeticamente, nominati tutti i romanzi, i racconti, i radiodrammi, gli articoli, i saggi, le recensioni, e ancora tutti i luoghi in cui l'autore americano ha condotto i propri lettori (bar, pub, club, stazioni, ristoranti etc). Potrete trovare tutto ciò che concerne gli alcolici (di cui era un appassionato), le automobili, le parole latine, i proverbi, le residenze di Fell e Merrivale, le case di campagna, le citazioni, oltre a tutti i metodi di assassinio, dal colpo di pistola all'avvelenamento.
Qualche tempo fa, lo stesso Keirans aveva pubblicato un breve saggio (mi sembra sulla rivista CADS) in cui trattava di "avvelenamenti e avvelenatori" nel corpus carriano.
Insomma, in questo The John Dickson Carr Companion c'è tutto l'amore possibile per un autore che non smetterà mai di far sognare i propri lettori, e che merita un'opera così. 

mercoledì 1 aprile 2015

Il banchiere assassinato (Augusto De Angelis, 1935)

Una Milano sfuggente, avvolta dalla nebbia e coperta da una fastidiosa umidità apre questo romanzo scritto nel 1935 dal maggiore autore italiano di romanzi polizieschi del ventennio, Augusto De Angelis.
Fine letterato prestato alla narrativa gialla, De Angelis si approccia al genere con grande intelligenza ed acume, dimostrando ampie letture e un non comune eclettismo.
Milano è, sfortunatamente, un semplice sfondo per un romanzo giocato quasi esclusivamente in interni (in particolare quello di casa Aurigi, il luogo del delitto), dove si intrecciano le storie di diversi personaggi appartenenti a differenti ceti sociali (nobili decaduti, arricchiti che hanno distrutto il capitale, proletari). Le vicende ruotano attorno al delitto del banchiere Carlini, ucciso da un colpo di pistola all'interno dell'appartamento di Giannetto Aurigi, e al triangolo amoroso che unisce quest'ultimo, la fidanzata e un giovane ragazzo dal passato difficile.
Ad indagare c'è il Commissario De Vincenzi, qui alla sua prima apparizione, uomo di grande acume ma anche profondamente umano nella sua severità e austerità.
Tra echi genuinamente simenoniani (il prologo nella squallida Questura, con l'enfasi sulla caldaia, ricorda quello di Pietr il Lettone di Simenon), stoccate al modello poliziesco anglosassone (bastano poche pagine all'autore per schernire il metodo investigativo tutto "cellule grigie" dell'investigatore privato Harrington) e qualche dialogo enfatico di troppo, il romanzo si legge con piacere. E questo si deve soprattutto al talento narrativo dell'autore, che sorretto da una prosa quasi esclusivamente dialogica costruisce una vicenda umana e credibile.
Il romanzo somiglia molto a un dramma teatrale (parola che ricorre spesso nel testo), sia per la struttura narrativa che per l'ambientazione. L'intreccio poliziesco non entusiasma, ma è sufficiente per intrattenere e rendere piacevole la lettura. Il movente dell'assassino, tuttavia, convince poco.
Le vicende politiche sono lontane, fino all'ultima pagina, quando un rinvigorito Giannetto Aurigi si presenta dal suo salvatore De Vincenzi (erano vecchi amici e compagni di collegio) per annunciargli la partenza per l'Abissina. A De Vincenzi scappa una lacrima, ma di certo per l'addio dell'amico, non perché toccato da ideali patriottici.
Questo romanzo, pur lontano dalle migliori opere dell'autore, presenta più di un elemento d'interesse, e ci consegna un De Angelis intellettuale di spessore, curiosissimo e aperto. La sua attività di giornalista, diffusore del romanzo poliziesco in Italia e critico letterario (alcune sue pagine sono davvero illuminanti), sono sempre lì a testimoniarlo con forza.