sabato 24 gennaio 2015

He Arrived at Dusk (1933, La rocca maledetta) - Ruby C. Ashby

Ruby C. Ashby, originaria dello Yorkshire, è una scrittrice di indubbio fascino, anche se oggi quasi del tutto dimenticata. Colpevolmente, perché il suo ruolo nell'evoluzione del mystery è tutt'altro che secondario.
Dotata di grande cultura e raffinatezza, ha all'attivo otto romanzi polizieschi, scritti in piena Golden Age, tra il 1926 e il 1934. Nelle sue pagine, mystery e gotico si mescolano con mano estremamente sapiente, spesso sovrapponendosi: la Ashby ricorre con frequenza a tutti i tipici caratteri della letteratura dell’orrore, tra dimore solitarie e inquietanti, notti tempestose e lande desolate, fosche leggende e rovine pagane, in cui spesso si materializzano delitti “per magia”, come quello che campeggia nel suo romanzo più famoso, He Arrived at Dusk (1933), all’interno del quale l’autrice descrive la strana leggenda del fantasma di un sanguinario centurione romano che infesta un antico torrione in rovina che nessuno, ovviamente, ha più voglia di visitare.
Appena pubblicato e riscoperto in Italia da Polillo, che lo ha proposto con il titolo La rocca maledetta, questo romanzo colpisce per maturità stilistica, abilità nel costruire un solido intreccio, capacità nel presentare personaggi sfaccettati e interessanti, ricreando un clima meravigliosamente evocativo. 

L'opera è divisa in tre distinte parti, narrate da tre personaggi differenti: nella prima, decisamente la più riuscita, William Mertoun racconta della propria incredibile esperienza accadutagli nella vecchia dimora del colonnello Barr, che lo aveva chiamato per catalogare la propria sterminata biblioteca. In queste sperdute, gelide e nebbiose lande del Northumberland infatti, si muove un misterioso fantasma disposto a tutto pur di sterminare la famiglia Barr, e sembra riuscirci. La seconda parte è invece raccontata dal giovane Hamlet: scritta sotto forma di diario di bordo, intreccia la sezione precedente, chiarendo alcuni punti e portando la storia alla sua fase successiva. Nella terza, alla fine, l'enigma verrà sciolto, non senza qualche pagina di troppo.

Contemporaneamente a Carr e ben prima di Talbot, la Ashby mostra le affinità tra gotico e mystery, ne sonda le potenzialità e i limiti, giungendo ad un risultato mirabile: l'atmosfera che si respira sin dalla prima pagina è eccezionalmente vivida e, pur rinunciando quasi del tutto all'elemento violento, la scrittrice dona al lettore più di un brivido. La storia è ben architettata e sviluppata con astuzia, non mancano alcuni indizi interessanti e una palpabile tensione narrativa. 
Parlare di misdirection è forse eccessivo (l'identità dell'assassino non è così sorprendente), ed alcune forzature nella soluzione vengono alla luce, ma non incidono molto in un romanzo che, tra venature romantiche, gotiche e detection (pur mancando una vera figura investigativa), appare un gioiello. Un piccolo capolavoro lo ha definito J.F. Norris su mysteryfile, che anticipa di molto Rebecca della Du Maurier per questo sapiente utilizzo di un narratore spaventato da eventi apparentemente illogici e per questo a volte incapace di interpretare le cose nel modo corretto. 
La Ashby scrive divinamente, e i suoi scritti sono tanto vivi e affascinanti quanto sottovalutati, come quelli di tutti coloro che sono difficili da collocare e categorizzare. E nella grande Golden Age, di questi autori ce ne sono tantissimi. Poco sangue, tanta classe.

domenica 11 gennaio 2015

Into Thin Air (Svanito nel nulla, 1928) - Horatio Winslow & Leslie Quirk

Se nella letteratura americana di fine Ottocento e inizio Novecento si possono individuare alcuni romanzi che lasciano presagire il legame tra impossibilità, illusionismo e poliziesco, pensiamo a Miss Hurd: An Enigma (1894) di Anne K. Green, in cui una donna svanisce in circostanze inspiegabili, nessuno ha mostrato il legame magia-romanzo prima, e con maggiore insistenza, di Horatio Winslow e Leslie Quirk, che nel 1928 hanno dato alle stampe il leggendario Into Thin Air. 
Del tutto dimenticato dalla critica, questo romanzo, frutto di una collaborazione estemporanea, rappresenta un punto di svolta e di collegamento importanti nella storia del mystery: un’opera atipica, inusuale e perciò sorprendente. Per anni conosciuta ed apprezzata esclusivamente nel ristretto campo degli appassionati di locked room mystery, l’opera di Winslow e Quirk attinge ad una quantità di modelli eccezionalmente vasta, ha punti di contatto con la detection classica, con l’hard-boiled e con la letteratura fantastica, e finirà con l’essere un testo di riferimento per molti scrittori, su tutti Hake Talbot. La storia è narrata in prima persona dal professor Nollins, studioso di criminologia e allievo del Dr. Klotz.
L’intreccio è fin troppo complesso per essere riassunto, e ruota attorno a due figure tipiche dell’immaginario: da una parte un assassino imprendibile, chiamato “Lo spettro di Salem” per le sue sovrumane abilità nello sfuggire alla polizia; dall’altra la sua nemesi, il Dr. Klotz, criminologo, uno dei più bizzarri, assurdi ed eccentrici investigatori della storia della narrativa poliziesca. Klotz è un essere dominante, di rara arroganza, spavaldo nei confronti di chiunque si trovi di fronte, che ama esprimere la propria infinita erudizione nei modi più offensivi e oltraggiosi. Capo del dipartimento di criminologia all’Università del Wisconsin, Klotz è tutt’altro che un gentleman: il suo ego fa sì che ami smascherare ciarlatani, medium, maghi da strapazzo o spiritisti, sempre concludendo il tutto con un atteggiamento di sfrontata superiorità. 
Dopo numerosi tentativi falliti finalmente Klotz riesce a catturare “lo spettro”, che tuttavia, una volta rinchiuso in prigione, riesce nuovamente a fuggire tramite modalità del tutto sconosciute, avvalorando l’ipotesi che sia dotato di poteri sovrannaturali. Poco tempo dopo però, l’uomo trova la morte in un terribile disastro ferroviario e, dopo il riconoscimento del corpo, viene sepolto nel cimitero di Blenheim. 
Gli avvenimenti prendono una nuova e inaspettata piega quando, nel corso di un esperimento di spiritismo, Klotz riceve un bizzarro messaggio dello “spettro” che gli ordina di tornare immediatamente a casa. Lì, la domestica lo informa di aver da poco sorpreso un giovane con le stesse fattezze dello “spettro”, dall’aspetto satanico, che altro non faceva se non emettere i belati di una capra, fino a quando non è scomparso nel nulla sotto i suoi occhi, lasciando solo un forte odore di zolfo. Klotz, per una volta, sembra in difficoltà: scopre che uno dei suoi gioielli, che la mattina stessa era sicuro di aver visto riposti nel cassetto, è scomparso. Così decide di esumare la salma del criminale: la bara viene trovata sigillata e il cadavere, di certo quello dello “spettro”, è al suo posto, ma indossa inspiegabilmente l’anello rubato. 
Gli eventi che si susseguono a partire da questo momento sono quanto di più ambizioso un autore di mystery abbia mai tentato in un solo romanzo: sedute spiritiche, apparizioni e sparizioni da luoghi sorvegliati da parte di un imprendibile fantasma, fluenti digressioni sull’illusionismo, la storia della magia e le teorie di Mrs. Blavatsky, fino ad un delitto di camera chiusa che nessuno può avere commesso.

L'intera storia, che risente della recente e improvvisa scomparsa di Houdini, avvenuta due anni prima, è una continua serie di ribaltamenti e situazioni al limite del reale,  che rendono il romanzo un ibrido stilistico e narrativo di impossibile catalogazione. Ci sono almeno due magistrali colpi di teatro, uno di questi riguarda il complice dell'assassino, che mostrano la bravura degli autori nel rielaborare anche trovate già esistenti (Agatha Christie) risultando ugualmente sorprendenti. 
Tralasciando il fatto che dal punto di vista tecnico gli autori trattengono svariati indizi, il romanzo offre molti spunti di interesse. Innanzitutto la presenza di un intero capitolo in cui il prestigiatore The Great Galeoto, da navigato conferenziere, elenca le affinità tra i lettori di romanzi polizieschi e gli spettatori di uno spettacolo di magia: da una parte troviamo i creduloni, disposti a credere a qualunque cosa sono convinti di vedere, mentre dall’altra ci sono i solutori di enigmi, categoria che comprende gli adulti ignoranti, i sospettosi e gli spiriti inquieti. Le posizioni espresse dal mago sono sorprendenti per i tempi in cui l’opera è stata concepita: egli afferma infatti che l’intera “partita” sia «una competizione di intelligenza tra gli scrittori, i criminali e i maghi da un lato, e i lettori, i detective e gli spettatori dall’altro». Come si può notare, è la medesima affermazione che farà Narcejac circa cinquanta anni dopo nella sua opera sul poliziesco: lo scrittore che gioca in compagnia del criminale contro il lettore. E ancora «io, il mago, impiego tecniche di depistaggio proprio come lo scrittore di gialli, ma gli indizi sono sempre visibili per chi ha occhi per vedere». 
A tratti la teatralità delle situazioni e dei personaggi (tra medium, lettori del pensiero, studiosi di scienze occulte che si credono posseduti dalle Forze Supreme) è eccessiva, e si fatica a comprendere se gli autori si stiano divertendo molto o se al contrario tentino di prendersi sin troppo sul serio, sfociando, in taluni casi, nella stessa parodia dei generi.
Come capiterà più tardi a Hake Talbot in Rim of the Pit (1944), questo maniacale accumulare di situazioni impossibili crea un surplus narrativo di sovrannaturale, che determina due conseguenze dirette. La prima è che il lettore smette molto presto di credere "ai fantasmi", ed automaticamente l'opera cessa di bordeggiare sul fantastico. La seconda conseguenza riguarda invece la difficoltà di districarsi da questa folta schiera di problematiche in apparenza miracolose: occorre un genio per spiegarle tutte coerentemente, con logica inappuntabile e ingegnosità. E Winslow e Quirk, in larghi tratti dello scioglimento, non saranno in grado di rendere merito al geniale intreccio ideato. Ancora meno sarà in grado di farlo Hake Talbot in Rim of the Pit. Ciò non preclude di certo la lettura di un testo davvero spettacolare, da un paio d'anni finalmente disponibile in Italia grazie alla Polillo, che lo ha pubblicato con il titolo Svanito nel nulla. Nonostante le mie puntualizzazioni, va detto che tutti i critici più importanti considerano questo romanzo un capolavoro, imperdibile per ogni appassionato.
Queste opere, in ogni caso, restano tremendamente importanti nella storia della letteratura poliziesca, perché mostrano apparenti zone d'ombra totalmente dimenticate dalla critica accademica: questi autori, a cui si aggiungono i Clayton Rawson, i Joseph Commings, e poi Ellery Queen, John Dickson Carr e tanti altri, rappresentano la vera essenza della detective story americana, che è ben lontano dall'essere rappresentata dai soli Hammett e Chandler. 

domenica 4 gennaio 2015

The Case of the Seven of Calvary (Il caso del sette del calvario, 1937) - Anthony Boucher


William Anthony Parker White, in arte Anthony Boucher, è una di quelle figure che segnano un'epoca. Un uomo rinascimentale, lo ha definito Frederic Dannay, un intellettuale a 360 gradi: meraviglioso linguista (antiche o moderne non fa differenza), traduttore, romanziere e soprattutto critico letterario, la presenza di Boucher negli anni Trenta e Quaranta del Novecento ben spiega perché quelli erano gli anni della Golden Age, mentre adesso..beh, lasciamo perdere.
Boucher è stato probabilmente il più grande recensore e critico di narrativa poliziesca (e fantastica) del secolo scorso: «non c'è quasi autore - compresi quelli che esordivano in paperback ed erano quasi sempre ignorati dalla critica ufficiale (David Goodis, Charles Williams, Jim Thompson, etc) - che non debba qualcosa all'ampiezza dei suoi gusti e all'autorevolezza delle sue segnalazioni, così come non c'è quasi ristampa in edizione tascabile di libri apparsi fino al 1968 e che siano in qualche modo significativi (non importa se di autori maggiori o no) che non rechi, magari condensata in due righe stralciate da una recensione o in una breve presentazione, l'impronta della sua inconfondibile griffe» (Mauro Boncompagni).
In breve, la firma di Anthony Boucher ha segnato il Novecento, sia come critico che come romanziere. Tra il 1937 e il 1942 ha pubblicato sette romanzi e svariati racconti che appartengono alla grande Golden Age del romanzo poliziesco, quando gli autori erano fini intellettuali e uomini di cultura, la cui lezione - tecnica, stilistica, umana - non morirà mai.
Boucher esordisce nel 1937, a soli 26 anni, con The Case of the Seven of Calvary, un delizioso giallo di ambientazione accademica, un mystery concepito per gli appassionati di polizieschi, scritto con sopraffina eleganza e raffinatezza, che ancora oggi regge benissimo alle intemperie del tempo.
A Berkeley, università della California, la piacevole vita da college viene rotta da alcuni misteriosi delitti sui quali indagherà, del tutto spassionatamente e comodamente in poltrona, il dottor John Ashwin, professore di sanscrito, ragguagliato di volta in volta dallo studente Martin Lamb, Watson di turno, narratore del romanzo e alter-ego di Boucher.
Tra rimandi queeniani (una accattivante e lealissima sfida al lettore, la presenza di una bizzarra setta religiosa che richiama quella di The Egyptian Cross Mystery, 1932), continue citazioni (Conan Doyle, Wallace, il «mai abbastanza lodato John Dickson Carr») e toni da divertissement, Boucher dispensa la sua enorme cultura riempiendo di magistrale ironia e umorismo una storia poliziesca di primissimo ordine, ben costruita, disseminata di indizi astuti e intriganti, che si conclude in modo sorprendente. 
Ispirato al professor Arthur William Ryder, Ashwin possiede tutte le caratteristiche del vero intellettuale, dalla cultura sterminata e dai gusti ecumenici, che svariano in ogni ambito dell'umano sapere, fino, ovviamente, alla letteratura poliziesca, di cui è un grande appassionato. I ragionamenti di Ashwin sono eccellenti, e dimostrano una notevole proprietà di linguaggio logico. Le discussioni con Martin sul genere poliziesco e sui grandi autori, da Dickens a Carr, sono delle chicche di erudizione e fine umorismo; le digressioni (sul sanscrito o il teatro) non sono mai banali né noiose, e rendono la narrazione ancora più piacevole e garbata.
Un uomo d'altri tempi Anthony Boucher, uno scrittore e critico d'altri tempi, di quelli che oggi si vedono con il lumicino.
in Italia è stato pubblicato da Polillo e Mondadori (col titolo Tre volte sette). Traduce Delio Zinoni.