venerdì 31 ottobre 2014

The Grinning God - The House that Was (La casa fantasma, 1907) - May e Jacques Futrelle


Jacques Futrelle, americano nonostante le sfumature anagrafiche, è stato uno dei grandi nomi della narrativa poliziesca precedente alla Golden Age. Specializzato nella short-story, rientra in quel gruppo (particolarmente eterogeneo, tra l’altro) di autori che si cimenta in racconti gialli a seguito del successo ottenuto da Conan Doyle con Sherlock Holmes. Symons non casualmente parla di First Golden Age per questo momento letterario, in cui autori di assoluto talento sono accomunati dalla narrazione di misteri risolti da menti particolarmente geniali, una sorta di supermen dell’investigazione: il Principe Zaleski di Shiel, lo Zio Abner di Davisson Post, Padre Brown di Chesterton e ovviamente il Professor Van Dusen, la cosiddetta “macchina pensante”, data la sua capacità di trattare ogni problema come una equazione matematica, uscito dalla pena del grande Jacques Futrelle
Non fosse salito sul Titanic, quando aveva 37 anni, sarebbe diventato probabilmente uno dei maestri della detection dei primi anni Venti. Ma purtroppo salpò insieme ad altri, e la letteratura perse un nome di grande prestigio ed eccellente prospettiva. I suoi racconti tendono all'estrema concisione tecnica, al potere del raziocinio e all'infallibilità del ragionamento, piuttosto che allo stile o all'abbellimento letterario.
La moglie May, ricordata soprattutto per un memorabile articolo sull’affondamento del Titanic, è stata anche lei scrittrice, ma di certo meno celebre. 
Nel 1907 presentò alla Associated Sunday Newspapers, che si occupava di realizzare supplementi domenicali per alcuni quotidiani, una storia dell’orrore dai toni classicheggianti, The Grinning God. Il responsabile della redazione accettò a patto che la storia fosse seguita da un altro racconto, firmato dal marito, in cui veniva fornita la spiegazione razionale agli eventi soprannaturali narrati. 
Questo volumetto edito qualche anno fa da Polillo, dal titolo La casa fantasma, presenta proprio il risultato di questa richiesta: prima la storia di May (The Grinning God), e poi il breve scioglimento del marito Jacques, dal titolo The House that Was, in cui il Professor Van Dusen spiega in modo logico e inappuntabile alcune situazioni topiche della letteratura fantastica: una strada e una casa scomparse nel nulla, un uomo che si muove come un fantasma e un’avventura talmente assurda che sembrerebbe un incubo, non fosse per quel piccolo oggetto d’avorio trovato nelle tasche.

Diciamo subito che il racconto di May è un discreto racconto di fantasmi, che ha buon ritmo e si legge con grande piacevolezza anche oggi; ricorda Le Horla di Maupassant, per la progressiva follia del protagonista e il fuoco finale purificatore, ma è certamente meno originale e meno potente dal punto di vista dell’evocazione della paura dell’ignoto. Possiamo perciò fin da ora renderci conto delle difficoltà di un autore come Jacques Futrelle, costretto a trovare una spiegazione terrena ad eventi che non sono stati concepiti per possederla. 
Solitamente l’autore ha già in testa, quando scrive, quale sarà la conclusione della sua opera, mentre stavolta (come Poe con Marie Roget) deve lavorare su una base non sua, privo di appigli, indizi o false piste. Ed è per questo che la spiegazione di Van Dusen, precisa, solida ma assolutamente semplice, assume grande rilievo. Ovvio che alcuni dettagli possono apparire forzati, ma nel complesso l’americano fornisce ancora una volta una dimostrazione di ingegno e fantasia, a sottolineare che la vera natura della crime fiction (meglio ancora se tinta di fantastico, apparente o meno) sta nella capacità di sorprendere le aspettative del lettore.

martedì 28 ottobre 2014

La produzione giovanile di John Dickson Carr - 2014

Negli ultimi 14 mesi ho lavorato a questo progetto, coinciso con la mia tesi di laurea magistrale all'Università di Bologna. Oddio, "lavorare" è una parola grossa, che non rende di certo il piacere che si ottiene nell'essere quotidianamente a contatto con il Maestro.
La scelta di concentrarsi su Carr ha solide basi: molto letto e apprezzato nel nostro paese, lo scrittore americano è stato, e continua ad essere, pesantemente trascurato dalla critica. I motivi sono vari: ad esempio i britannici non hanno mai accettato che un americano (vade retro) possa aver portato i loro stilemi (o almeno quelli che loro vantano di aver ideato) ad un livello ineguagliato e ineguagliabile nella storia della narrativa poliziesca. 
Abbandonato dalla critica, soprattutto perché troppo borderline e troppo complesso per coloro che desiderano solo inquadrare, schematizzare e banalizzare, Carr è uno di quei paradossali emarginati che, adeguatamente studiati, permettono di gettare una luce nuova e diversa su un periodo particolarmente sfocato e incompreso come quello della Golden Age. 
Da qui gli scopi che mi sono ripromesso di perseguire con questo lavoro: da una parte analizzare minuziosamente un momento letterario unico nella storia dell'autore, che entra nel mondo del giallo tramite vie traverse e inusuali, cercando di donare nuova dignità filologica a testi che nel nostro paese sono stati vilmente massacrati. Non può essere un caso che quattro dei cinque romanzi che, oltre ai primi racconti, costituiscono la produzione giovanile dell'americano (l'ultimo è a Poison in Jest, Piazza pulita, del 1932), siano i meno ristampati e i meno curati da un punto di vista editoriale. 
Dall'altra parte ho cercato di fornire nuove chiavi di lettura e di interpretazione al fenomeno della Golden Age, tentando di mostrare l 'inadeguatezza di una parte della critica, non solo italiana, che continua a vedere questo momento irripetibile come una aspra dicotomia dalle sfumature sessiste (British detective novel femminile vs Hard boiled school maschile e americana). Il primo sarebbe un genere senza sangue, consolatorio, per famiglie: il cozy mystery. Non poche banalità sono state scritte nel corso del tempo, e ancora parte degli studiosi (stranieri e non) rimane ancorata a concetti vecchi, erronei e pericolosi. 
Tentare non coincide sempre con riuscire, ma è meglio che non iniziare per niente.
In questi mesi ho avuto il piacere e l'onore di essere aiutato da esperti e studiosi eccezionali, che devo ringraziare: Maurizio Ascari, Roberto Pirani, Roberto Barbolini, Douglas G. Greene, Giuseppina La Ciura, Roland Lacourbe, Curtis Evans ed altri, i quali, chi più chi meno, hanno fornito un contributo prezioso.
Non ho avuto però la fortuna di scambiare qualche parola con due grandi traduttori e due straordinari studiosi, la cui operazione di restaurazione dell'opera carriana in Italia è stata semplicemente decisiva. Credo che tutti noi appassionati di mystery dobbiamo in cuor nostro dire grazie a Mauro Boncompagni e Maria Antonietta Francavilla. Grazie.

Allego l'indice del lavoro, per fornire giusto un'idea della struttura.






giovedì 2 ottobre 2014

The Murders in the Rue Morgue (I delitti della Rue Morgue, 1841) - Edgar Allan Poe



Ad uno dei maggiori scrittori del XIX secolo si deve la codificazione della detective story nella sua forma compiuta, quella della short-story: tra il 1841 e il 1845 Poe scrive tre racconti di investigazione destinati a lanciare un modello che sarà recepito da tutti, Conan Doyle in particolare. 
Innanzitutto la figura del detective dilettante, Auguste Dupin, dotato di supreme capacità di ragionamento, con le quali è in grado di sbrogliare le matasse più intricate; in secondo luogo la figura dell’io-narrante amico del protagonista, di cui riferisce le avventure; in terzo luogo la struttura del racconto, generalmente breve, in cui alla presentazione dei fatti segue la risoluzione del mistero.
Tanto, e giustamente, è stato scritto su Poe, e non è certo questo il caso di fare dell’accademia. Ma di certo non è una domanda banale chiedersi cosa rimanga ora di quel Poe (che ben presto abbandonò Dupin e la detective story), e quanto le sue storie conservino smalto e leggibilità. 
Poe è un autore di grande complessità e densità stilistica, che cede al melodrammatico, ma raggiunge punte di lirismo a volte ineguagliate. Nei tre racconti con Dupin non si possono ovviamente ritrovare le cupe atmosfere di Ligeia o i vertici di pathos del Pozzo e il pendolo, ma nonostante tutto il tono non risulta freddo. Il ciclo rappresenta il trionfo dell’ingegno e del ragionamento puro, che non ha nulla a che fare con le elementari e fasulle deduzioni di Holmes. 
Poe, a differenza degli altri, si sente in dovere di fornire basi teoriche, a partire dal saggio La filosofia della composizione, per finire con le digressioni che caratterizzano gli stessi racconti. E’ anche per questo che egli rimane l’indubbio padre della narrativa poliziesca.
In tutto questo è fondamentale fornirsi di una traduzione italiana valida, perché rendere lo stile dello scrittore americano è davvero difficile. Evitare Garzanti, se possibile, e tutti coloro che invecchiano la prosa con termini arcaici ed espressioni desuete. 



Apparso nell’aprile del 1841 sulla rivista “The Graham’s Lady’s and Gentleman’s Magazine” di Philadelphia, The Murders in the Rue Morgue è considerato, per i motivi sopra esposti, il primo coerente racconto di investigazione di sempre. 
"L'analista si compiace di quella attività mentale che risolve”, inizia Poe, introducendo i capisaldi di questo genere letterario: la presenza di un mistero e e di una mente capace di spiegarlo razionalmente ricorrendo alle sole capacità analitiche. 
Il prologo descrive le capacità di ragionare ed analizzare un problema col fine di risolverlo. “Calcolare non è di per sé analizzare” - continua Poe - “Un giocatore di scacchi, ad esempio, calcola, senza ricorrere all’analisi". E ancora “Ma è nei casi che si collocano fuori delle pure e semplici regole che si manifesta l'abilità dell'analista”. E, in ultimo, “la differenza della portata di informazioni così ottenute non consiste tanto nella validità delle deduzione quanto nella qualità dell'osservazione. Quel che è necessario sapere è che cosa bisogna osservare”. Non occorre spingersi troppo in là con gli anni per ritrovare queste medesime considerazioni nelle avventure di Sherlock Holmes, firmate Conan Doyle. 
Dopo aver affermato la differenza tra uomo ingegnoso e analista (l'analista è necessariamente uomo ingegnoso, mentre  l'uomo ingegnoso è spesso negato all'analisi; il primo è sempre ricco di fantasia mentre il secondo è dotato di vera immaginazione), Poe presenta il racconto e i suoi personaggi, che altro non è se non una sorta di exemplum con commento del breve trattato sull'analisi e il ragionamento che occupa le prime pagine. 
Dupin e il suo assistente sono personaggi tipicamente decadenti: rinchiusi in casa durante il giorno, vivono esclusivamente la notte (quasi una sorta di vampirismo), non incontrano persone né hanno amici, ma si dilettano nelle “eccitazioni mentali che la quiete osservazione può offrire”. Dupin è molto diverso per questo da Holmes: è un avido lettore e collezionista di libri, è parigino e ha una vivida immaginazione, ma come Holmes ama sfoggiare e dimostrare la propria superiore capacità di deduzione (Dupin sembra quasi leggere nel pensiero i movimenti celebrali del suo assistente durante una passeggiata notturna). 
Inizia così il primo vero racconto di camera chiusa dotato una solida soluzione finale e composto nello stile lavorato ed elaborato di Poe, dalle note dolci e meravigliosamente decadenti.


La trama è sostanzialmente nota a tutti. L'autore pone l'accento piuttosto ripetutamente, e questo è importante, sull'impossibilità dei delitti, oltre che sulla loro brutalità e violenza; la ricostruzione dell'omicidio è lucida, cruda e particolareggiata. 
D'altronde Poe pensava di scrivere un racconto dai toni orrorifici e non un mystery vero e proprio come lo intendiamo noi ora. Dupin non risparmia stoccate a Vidocq (era di notevole intuito e grande perseveranza, ma, mancando di una disciplina intellettuale, sbagliava continuamente) e la polizia (ha confuso lo straordinario con l'astruso) e si sofferma su quelle che realmente sono le chiavi di volta dell'enigma: in questo caso le testimonianze dei vari sospettati, dalle quale fuoriesce un dato abbastanza lampante, ovvero la presenza della stanza di due voci, una francese e un'altra di strana natura. Ogni indiziato (di nazione diversa) credeva appartenesse ad una lingua ogni volta differente: il francese credeva fosse spagnolo, l'italiano russo, lo spagnolo tedesco e così via.  Ovviamente il caso gioca un ruolo fondamentale nella buona riuscita di due delitti che non hanno matrice razionale.
La spiegazione è ingegnosa, anche se di impossibile risoluzione da parte del lettore. La gestazione che porterà alla nascita della regola del fair-play è ancora lunghissima.
Nel complesso questo racconto, soprattutto per la digressione iniziale, nonostante sia inferiore rispetto al successivo La lettera rubata, resta un gioiello di tecnica, stile e concisione. Immortale.